214 – Interpretare se stessi

Cuore o tecnica, identità o interpretazione. Nella puntata di oggi affrontiamo un viaggio introspettivo che ci porta a considerare come un autore possa leggere i testi che gli appartengono a un pubblico pronto ad ascoltare.

Siamo sempre noi stessi anche quando leggiamo per altri oppure stiamo interpretando o recitando?

Proviamo a rispondere a questa domanda e fateci sapere cosa ne pensate.

Non si è attori, ma nemmeno se stessi? Grande dilemma che riguarda chi legge i propri testi a un pubblico, interpretando un discorso e andando verso qualcosa di più recitativo e performante.

Chi legge un suo testo – che si tratti di una relazione, un articolo o un libro – può interpretare un discorso. Può performare un discorso in pubblico, anche quando il testo gli appartiene.

Recitare, in senso stretto, è un termine che attiene all’attività dell’attore, e che porta al concetto di finzione, intesa come la relazione che si crea tra il personaggio che si sta interpretando e il pubblico che assiste.

Se è vero che con la recitazione c’è questa sorta di mediazione rappresentata dalla finzione, con la lettura di un testo si crea una relazione più diretta tra chi legge e chi ascolta.

Ma quando teniamo un discorso in pubblico, stiamo attuando l’attività di recitazione oppure no? 

Non siamo attori nel vero senso del termine, ma i confini tra il portare un discorso provato nei minimi dettagli e il lavoro dell’attore che prepara, ad esempio, un monologo sono molto sottili. Insieme a tutto ciò che concerne l’espressività e il contesto.

Il contesto di finzione del teatro è molto chiaro, come è chiaro che si tratti di un mezzo di comunicazione e di un patto che si crea tra attore e spettatore.

È anche vero che l’aspetto performativo, come può essere quello della lettura o del public speaking, riguarda la forma, la modalità con cui viene condiviso il testo e l’argomento trattato.

Quando si legge è normale non avere lo stesso stile del parlato perché viene messo più impegno nel porgere il testo alle persone che ascoltano. C’è un aspetto performativo ed espressivo che segue il tipo di testo, il contesto e il pubblico.

La domanda chiave è questa: chi siamo noi per il pubblico in quel momento? Stiamo leggendo il nostro testo, ma chi siamo? Il professionista, l’esperto, l’appassionato… la questione del ruolo è fondamentale, unita al perché stiamo leggendo. Siamo l’autore che in quel momento restituisce qualcosa.

Senza dimenticare che non tutti gli autori hanno la capacità di restituire al meglio le proprie parole. Nell’ambito narrativo ci dev’essere un’attenzione alla forma, mentre in quello informativo prevale un’altra finalità (in ogni caso senza escludere la forma).

L’autore che scrive un testo, sapendo di doverlo esporre in pubblico, seguirà delle accortezze particolari riguardo al tipo di lessico o di approccio. Il testo che sta preparando muterà nel tempo pur rimanendo uguale nella forma. 

Ogni volta che leggiamo nei vari momenti della vita e con percezioni di sé che cambiano, significa che rendiamo diverso lo stesso testo.

Pensiamo sempre di essere uguali a noi stessi, ma è un errore. Oggi non siamo la stessa persona di ieri e domani non saremo la stessa persona di oggi. E ciò riguarda anche la lettura, la voce e l’espressività.

Avere la chiarezza e la consapevolezza di questo aspetto è il primo passo fondamentale per riuscire ad autointerpretarci, a rendere giustizia all’anima autrice.

Rendere giustizia anche alle emozioni. 

L’autore che legge il suo testo sul trasporto di quello che prova e che sente in quel momento riuscirà a superare l’aspetto tecnico e la qualità della lettura. Prevale il momento di condivisione delle emozioni.

Interpretare se stessi significa trasmettere con la lettura il sé autore, il sé che ha scritto il testo.

Minutaggio

3:50 Liminale e liminoide

8:10 Realtà e finzione

10:10 Il registro del parlato

15:00 L’onestà di conoscerci

20:30 Che cosa cambia con la scrittura

24:30 Le identità che vogliamo mostrare